Iniziamo la pubblicazione nel sito del Gruppo di articoli di stampa sul tema della fotografia e dell’immagine, che – speriamo – incontreranno l’interesse dei nostri lettori. Iniziamo con un articolo tratto dal Sole24ore sull’importanza delle immagini nell’informazione.
La visualizzazione oltre l’infografica
Paolo Ciuccarelli
Per l’informazione e l’editoria questa è l’epoca del visuale: lo sviluppo tecnologico ha aperto una breccia nella fortezza delle parole e dei numeri e ha permesso al l’onda delle immagini di erodere progressivamente gli argini fino a dilagare. Dalla timeline di Facebook al susseguirsi delle operazioni di redesign delle pagine online e offline dei quotidiani, l’immagine e l’audiovisivo guadagnano sempre più spazio, e sono per molti lettori la prima – a volte l’unica – modalità di accesso al racconto del mondo. Si ha ogni tanto la sensazione di una sovrabbondanza, cui non corrisponde necessariamente una crescita della ricchezza di senso.
C’è un’area dell’informazione in particolare in cui l’immagine sta penetrando molto in profondità, cambiando radicalmente sia la modalità di rappresentazione dei contenuti sia il processo di individuazione e costruzione del contenuto stesso. È il giornalismo “guidato dai dati” (Data Driven Journalism), in cui il giornalista si confronta con le opportunità e i limiti della grande disponibilità di dati digitali – dagli Open data ai flussi in tempo reale dei social media, dai testi storici digitalizzati fino alle immagini stesse – e con l’accessibilità diffusa degli strumenti per organizzarli e trattarli, anche visualmente.
È qui che stanno emergendo i caratteri della visualizzazione dei dati del futuro, capace di sintetizzare un fenomeno stilizzandolo e tratteggiando gli elementi fondamentali e le loro relazioni, per far emergere quel pattern che la nostra mente cerca ogni volta che vuole capire. Una rappresentazione che si emancipa dal ruolo ancillare della foto o dell’infografica (che accompagnano e completano il testo) per diventare prima strumento di ricerca e produzione per il giornalista – che può esplorare e analizzare attraverso la visualizzazione grandi quantità di dati eterogenei – e poi, sempre più spesso, anche fulcro della narrazione.
I due livelli di azione – strumento di analisi e modalità narrativa – li dovremmo ritrovare, invertiti, anche nel rapporto con il lettore: la visualizzazione deve saper attrarre e contestualizzare prima, fornendo una panoramica del fenomeno, sorprendendo ed emozionando anche, per aprire poi la possibilità di analizzare più in profondità, tornando anche a ritroso verso il dato, sui passi di chi ha costruito la narrazione. Un doppio livello di lettura facilitato dalla natura digitale dei dati e dalla possibilità di interagire con essi, che dovrebbe però essere proprio anche delle visualizzazioni statiche pensate per i supporti cartacei.
Il «Data Journalism Handbook» di European Journalism Centre e Open Knowledge Foundation dice anche che devono essere sempre soddisfatte due diverse tipologie di lettori: la visualizzazione dovrebbe essere facile da comprendere a colpo d’occhio per i lettori che navigano la superficie, ma anche complessa abbastanza da offrire un approfondimento interessante per i lettori più motivati. A questi caratteri bisogna aggiungere che il testo, quello scritto, non è morto, anche se spesso sembra non stare tanto bene: è difficile costruire un’efficace esperienza visuale del dato senza ricorrere ad annotazioni, etichette, piccoli testi di sintesi che contestualizzano l’apparato visuale; un po’ più marginale, il testo, ma ancora necessario.
Le visualizzazioni del genere sopra descritto sono sempre più comuni, e a questi casi virtuosi La Vita Nòva (il magazine per tablet del Sole 24 Ore scaricabile da oggi, ndr) dedica la gallery che accompagnerà ogni numero. Rimangono da affrontare alcuni nodi ancora irrisolti, particolarmente importanti per una visualizzazione che voglia portare agli occhi di un pubblico largo temi e fenomeni complessi, per stimolarne la consapevolezza e muovere eventualmente all’azione: l’esigenza di sviluppare un linguaggio capace di preservare e comunicare le sfumature e i tratti incerti che caratterizzano soprattutto i fenomeni sociali; la fuoriuscita dai dispositivi cartacei o digitali per calarsi nel contesto, diventare presenza fisica là dove il dato può acquisire più senso, in mezzo alla gente, negli spazi pubblici come in quelli domestici, nell’installazione artistica come nella visualizzazione dei dati ambientali; la necessità di raccontare il percorso dietro la scelta o la definizione di quel dataset e la costruzione di quella specifica rappresentazione, perché se è vero che è facile mentire con i dati e la loro rappresentazione visuale, l’antidoto migliore è rendere evidenti anche i processi e i metodi, non solo il risultato.
Come per altre discipline che stanno affrontando la transizione anteponendo cautelativamente il prefisso “digital” o il suffisso “computational” alla dicitura canonica (come le Digital Humanities o la Computational Sociology) arriverà il giorno in cui non ci sarà più bisogno di anteporre il “data driven” al giornalismo: sarà prassi normale tanto la relazione costruttiva con il dato quanto la sua rappresentazione visuale, per individuare un fatto, per costruire una storia, per condividere la propria opinione.
Paolo Ciuccarelli è direttore scientifico di Density Design – Politecnico di Milano
FONTE: Il Sole24ore